Ars coquinaria

Passione e ricerca per la cucina antica

Rievocare una cucina antica, i suoi prodotti, le sue pratiche agricole è un momento di riflessione su come i sapori dei cibi e i gusti degli uomini cambino nel tempo, poiché essi stessi sono un prodotto storico che muta, si contamina, si evolve al pari degli uomini. Questo è il fascino di una degustazione creata attraverso ricettari antichi; questo significa divulgare un’atmosfera emozionante ed unica; questo significa sensibilizzare gli appassionati alla storia e all’identità culturale di un popolo.
Lo studio e la ricerca costante di fonti archeo-gastronomiche, la collaborazione con esperti e archeologi, la passione per il passato e la sua reinterpretazione di antiche ricette, permettono al pubblico di gustare sapori perduti.

Cibo e storia

I testi sugli alimenti e il cibo degli antichi Romani, a cui ci si riferisce, sono nell’ordine:
De Agricoltura liber di Catone il Censore (150 a.C.);
Rerum rusticarum libri tres di Varrone poco più di un secolo dopo (37 a.C.);
De re coquinaria di Apicio intorno al 30 d.C.;
De re rustica” di Columella nel 50 d.C.;
Naturalis Historiae di Plinio intorno al 70 d.C.

Da queste opere emerge la chiara origine della Cucina Mediterranea.
La nostra conoscenza dei cibi romani, intesa come cultura eno-gastronomica, si basa principalmente su due testi,
De agri cultura liber” di Marco Porcio Catone, per quanto riguarda il “buon tempo antico” e “De re coquinaria” di Apicio per la cucina del periodo imperiale.

Marcus Porcius Cato soprannominato “il Censore” (234 a.C.-149 a.C.) era un politico, generale e scrittore romano. Il suo trattato De agri cultura liber è un manuale pratico del perfetto proprietario terriero che dà indicazioni sulle varie attività agricole, dal come tenere la casa alle ricette di cucina, dai lavori agricoli stagionali ai sacrifici agli dei, alla produzione dell’olio e del vino, alle malattie degli animali e delle piante.

Marcus Gavius Apicius (25 a.C.-37 d.C.) era un ricco romano, amante della bella vita e della buona tavola. Frequentava i circoli più esclusivi di Roma, organizzava banchetti sontuosissimi con pietanze stravaganti inventate e che cucinava di persona.
Seneca, suo contemporaneo, ci da notizia della sua morte: dopo aver dilapidato in pranzi una fortuna, del suo patrimonio gli restavano solo dieci milioni di sesterzi. Con quella cifra sarebbe stato un povero che avrebbe “fatto la fame” e preferì il suicidio per avvelenamento.

I riti del cibo

La cucina degli antichi romani, era molto semplice e i pasti molto frugali. Il nutrimento principale era rappresentato dalla puls o pulmentus, una polenta di frumento, verdure, frutta e formaggi. Nella preparazione della polenta, veniva utilizzato principalmente il farro (far), cereale più coltivato in quel periodo e che poteva essere cotto sia in grani interi sia macinato.
PULTE, NON PANE, VIXISSE LONGO TEMPORE ROMANOS
Intorno alla fine del III secolo a.C., l’espansione dei confini fece giungere a Roma grandi ricchezze ma anche nuove abitudini alimentari. Con i nuovi prodotti si andarono diffondendo lussi, eccessi e stranezze; dai contatti con le civiltà orientali si apprese l’uso di spezie e aromi.
In età imperiale i gusti dei Romani si evolvono verso sapori molto forti e drogati. Nel campo culinario questa tendenza si manifestò in due maniere diverse: come usanza a cambiare con arte raffinata e complessa i gusti e, dall’altro lato, a cambiare l’aspetto dei prodotti trasformando i cibi in illusioni e in capolavori di abilità.

I romani assumevano cibo in tre momenti della giornata.
Una veloce colazione, Ientaculum, consumata nel primo mattino, e comprendeva pane condito con sale e vino, formaggi, uova, olive, verdure dell’orto vino puro o con miele.
Un secondo pasto veloce, prandium, verso mezzogiorno, a base di cibi leggeri (uova, pesci, legumi, frutta), spesso avanzati dai giorni precedenti.
Questi primi pasti erano frugali e consumati di solito in piedi.

  • La coena (cena) era il pasto principale che si consumava la sera. Nelle famiglie patrizie la cena durava diverse ore, si teneva nel triclinium (la sala da pranzo). Era distinta in tre momenti:
    gustationes (antipasti), a base di uova, funghi, crostacei, tartufi, insalate e salse varie, il tutto accompagnato dal mulsum;
  • Prima mensa, a base di pesce, uccelli, e carni.
  • Secundae mensae, (dessert) con frutta fresca e secca, e dolci di vario tipo a base di miele.
Vite e vino

La viticultura romana fù agli inizi molto modesta, esplose successivamente, tanto che Marco Porcio Catone (234-149 a.C.) mise la vigna come la prima delle culture italiche.
Orazio rivolgendosi all’amico Varo, raccomanda quanto fosse importante la coltivazione di questa pianta.
«Nullam, Vare, sacra vite prius severis arborem» (Non piantare, o Varo, alcun albero prima della vite sacra).
Plinio il Vecchio (23-97 d.C.) nella “Naturalis Historia” scrive che almeno due terzi della produzione totale proveniva dall’Impero ed elenca 91 vitigni diversi con 195 specie di vini; 50 li definisce generosi, 38 oltremarini, 18 dolci, 64 contraffatti e 12 prodigiosi.
Sempre in Plinio si legge che l’Italia, per la coltivazione della vite, aveva una tale supremazia da avere superato, con questa unica risorsa, le ricchezze di ogni altro paese.

I vini che venivano prodotti e che si bevevano erano densi, amari, eccessivamente alcolici e fortemente invecchiati. A seconda della qualità il vino si poteva diluire fino a tre parti di acqua. Il vino puro (il merum) era riservato agli dei in occasione delle cerimonie religiose.
I Romani usavano tagliare vini diversi: un dolce vino greco, ad esempio, veniva miscelato con il Falerno per mitigarne l’asprezza.

I Romani più raffinati usavano aggiungere al vino sostanze di vario tipo; l’aggiunta più comune era quella di miele per addolcire e aumentarne il valore zuccherino, ottenendo il prelibato vinum mulsum, bevanda servita generalmente all’inizio di un convivio nei sontuosi banchetti delle grandi famiglie patrizie.

Come i Greci avevano portato la vite nell’area mediterranea, così i Romani con l’allargamento dell’impero la trasmisero nel resto dell’Europa.